Ode alla Duna

di MICHELE SERRA

Amo la Duna, il ferro
lieve che la compone
le viti che rinserro
ogni nuova stagione
il panno sui sedili
bigio, incolore, pesto
e pochissimi fili
per ripararla presto.
Ecco la pia, la buona,
la macchina sbagliata
quella che stona
con l'epoca lanciata
l'aspetto lento, ottuso
ignaro della fretta
da distratto che ha eluso
la sfida maledetta
quella tra l'io represso
e l'accelerazione
che rende l'uomo ossesso
vittima del lampione.
Va piano, è mesta, tozza
e in questo sta il suo succo:
nemmeno vi si abbozza
l'astutissimo trucco
di trasformare in moda
la propria debolezza
con una strana coda
un buffo parabrezza:
non simula la Duna
alcuna stravaganza
non è mai stata a Poona
come la maggioranza
delle auto francesi
non occupa giornali
come quei vilipesi
trabiccoli orientali
che passarono il Muro.
Persino la retorica
utilitaria, il puro
rimbombo della lorica
vuota di ogni conforto
non le appartiene affatto:
ha il suo bravo supporto
di pirulini a scatto
gingilli ed accessori
e dotazoine varia
per restare al di fuori
della classe dei paria.
Il prezzo è alto, in spregio
al comodo pretesto
di avere almeno un pregio,
quello del basso costo.
La Duna è media, inetta
ad ogni distinzione
è ciò che non affetta
è ciò di cui dispone:
il nulla senza spicco
di cui non è nessuno
né povero né ricco
né folla né qualcuno
e solamente passa
nella pianura rasa
nella campagna bassa
scompare verso casa.

Tratto da: "Poetastro"
(poesie per incartare l'insalata)
edito da Feltrinelli

 

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